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Il ricordo di Don Franco
Autore : redazione - mer 08 gennaio 2014 - Cronaca
Riceviamo e pubblichiamo da Mariasanta Giaroli.

Don Franco mi ha raccomandato per anni di fare il discorso al suo funerale. Ogni volta che mi ripeteva che avrei dovuto fare io questo discorso, mi passava per la mente la domanda: perché proprio io ?

Oggi ho dovuto trovare una risposta: mi sono convinta del fatto che volesse il punto di vista di una donna, figlia, sposa e madre.

Don Franco ha sempre camminato con lo sguardo rivolto a sua madre, la Signora Verina: una Santa per lui, che, diceva, era stata la prima sostenitrice della sua vocazione e lo aveva accompagnato con i suoi consigli fin dai primi passi del suo sacerdozio, aiutandolo a mitigare l’irruenza del carattere e a trovare soluzioni anche quando si presentavano situazioni apparentemente senza via d’uscita; soprattutto con la forza dell’esempio, come quando aveva perdonato le persone che le avevano ucciso il marito e invitava con insistenza i figli a fare altrettanto. Di certo la grande devozione per la Madonna che ha portato il Don ad intitolarle la chiesa e a riproporla costantemente come modello da seguire nella sequela di Gesù, comprendeva sempre anche il tenero ricordo della sua mamma.

Il sacerdote sposa la Chiesa: è un’idea che ci è abbastanza familiare, ma che forse consideriamo solo astrattamente. Guardando la vita di Don Franco, però, ci accorgiamo che lui ha vissuto questa donazione di sé in modo molto concreto, come il più attento e premuroso dei mariti, come un buon padre di famiglia, dedicando tutte le proprie energie spirituali, fisiche, economiche a costruire, accudire e proteggere la sua famiglia, la parrocchia, la comunità.

Aveva a cuore le persone e cullava il progetto di dare risposta ai loro bisogni per tutto l’arco dell’esistenza, dalla nascita alla morte: vicino alle case (questo significa la parola greca parà oikia, parrocchia), ha tenacemente voluto la chiesa, la canonica, la scuola materna, il doposcuola, il campo sportivo, gli spogliatoi, il capannone, gli appartamenti e da ultimo la casa di riposo, che avrebbe preferito parrocchiale, ma che ha accolto come dono della provvidenza, proprio accanto alla chiesa e al cimitero, chiudendo idealmente e materialmente il cerchio dei servizi alle famiglie.

Celebrava ogni ricorrenza con entusiasmo e non perdeva occasione di richiamare l’attenzione delle persone sul valore profondo di fare memoria e ringraziare dei doni ricevuti: ricordo che preparò a lungo la ricorrenza delle “nozze d’oro” della parrocchia: “Voglio fare i confetti!”, tuonava con la sua voce roca, accompagnando la frase con una potente stretta del braccio della persona a lui più vicina, come per assicurare che avrebbe mantenuto fede alla promessa. Era il suo modo per ricordare a tutti, in particolare con i frequenti messaggi scritti che distribuiva ad ogni occasione, che bisogna tenere vivo il legame con la fonte della vita e della grazia, Dio Padre, attraverso i sacramenti, la preghiera, i momenti forti dell’anno liturgico.

Voleva sempre il meglio: era affascinato dall’intelligenza e dalla bellezza e convinto che a tutti bisognasse proporre obiettivi alti, per fare emergere da ciascuno il massimo: per questo non ha mai smesso di arricchire la chiesa e le altre strutture con opere d’arte, di circondarsi di persone disponibili che dedicassero tempo ed energie a costruire e mantenere il grande patrimonio di umanità che stava crescendo, di accogliere nuove sfide: quando nel 2000 le insegnanti gli proposero di aprire la sezione del “Nido”, era spaventato dal nuovo carico di spese e problematiche che si prospettavano; si convinse con le parole della pedagogista che gli suggerì di considerarlo il modo per celebrare il giubileo.

Un ruolo speciale hanno avuto nella “sua famiglia” le sorelle e i fratelli: ha sempre considerato le suore come gli angeli custodi della parrocchia, le samaritane capaci di chinarsi sui bisogni di tutti: “La Biancarosa accoglie i bambini prima delle 7 del mattino, mi “ruba” i soldi per la scuola materna, Suor Linda arriva dappertutto, non è mai capace di dire di no!” Con tono di apparente rimprovero, esprimeva tutta la sua ammirazione e la riconoscenza per la gratuità di un servizio impagabile, che mostrava a tutti il volto più accogliente della Chiesa.

Si preoccupava dei suoi confratelli più anziani, accogliendoli spesso anche in vacanza, con attenzione a quelli malati e soli: era stato compagno di scuola e di vita di mio zio Don Orlando e durante la sua lunga malattia mi chiedeva spesso come stava e mi raccomandava di salutarlo, assicurandomi di pregare sempre per lui.

Come ogni figlio che perde un padre, oggi per tutti noi è il momento di guardare all’eredità che Don Franco ci lascia: i beni materiali sono sotto gli occhi di tutti, quelli spirituali sono nei nostri cuori. “Nei giovani bisogna seminare rimorsi!” disse una volta durante una riunione del Consultorio, e qualcuno più “diplomatico” di lui corresse: “Bisogna formare le coscienze”.

Ha fatto di tutto per formare le nostre coscienze, richiamando con passione lo studio della Parola di Dio, del magistero autentico della Chiesa: ce l’aveva con i Cristiani che si fanno le opinioni sul “Resto del Carlino” e si uniformano alla mentalità corrente, scuoteva la testa di fronte alla verità distorta e all’incapacità di un giudizio retto di fronte ai mali del mondo, mai contento delle sue capacità di persuasione, si affidava alla testimonianza di letture illuminate e di contributi (li chiamava tesserine, come in un grande mosaico comunitario) che spesso proponeva anche durante le omelie e i festeggiamenti delle ricorrenze.

Ognuno di noi sarà accompagnato dalla memoria di episodi particolari, che lo riguardano personalmente e che forse sarebbe bello in futuro condividere; certamente di fronte a scelte importanti, nei momenti lieti o tristi della vita che ci attendono, ci capiterà di pensare a cosa avrebbe detto Don Franco, ci verrà in mente una sua battuta, un suo modo di dire: accogliamolo come un richiamo alla coscienza, o, come avrebbe detto lui, un rimorso, che ci stimolerà alla ricerca del vero Bene, nel cammino verso quella pace in cui, quando saranno stati perdonati tutti i nostri peccati, ci ritroveremo.
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Commenti
S. Filiaggi scrive :
Ricordo e ringrazio Don Franco per tutta l'azione pastorale e civile profusa in oltre mezzo secolo di attività dedicata non a tutta la gente di Vezzano ma ad una sua frazione, quella de La Vecchia. Ne fosse stato il sindaco non avrebbe potuto fare di più e il tutto l’ha fatto senza l’apporto di leggi provinciali e regional-statali tantomeno grazie ad ICI ed Irpef. Bravo Don! Ha dimostrato a tutti che il suo Maestro, Cristo, diceva la pura Verità affermando che anche un chicco di Fede in ciascuno di noi può smuovere le montagne!
Lo stesso hanno fatto in altri tempi e modi i suoi confratelli come Don Tosi , parroco di Vezzano, suo compagno di seminario, che ha percorso la vita in un baleno ma ci lasciò il ‘campo del prete’ per i ragazzi e il cine teatro che ancor oggi serve per grandi e piccoli Vezzano e non solo: oggi non so quanto sia ancora ricordato tra i miei compaesani ; come è naturale nessuno ricordi Don Bedini che, prima di lui, in anni di miseria che oggi parrebbe ricchezza, spinse i vezzanesi a costruire senza soldi ma con il loro sudore e i sassi del Crostolo e del Monte Gesso, l’attuale asilo che oggi è il centro del paese!
Credo sia giusto che uomini come questi e altri poveri Don che tanto bene hanno voluto e fatto ai loro concittadini, fino a sacrificare la vita grama, continuino a vivere sempre nelle nostre coscienze e possano essere di esempio di vita civile e di fede, come gli eroi politici che danno giustamente il nome alle nostre strade.
Almeno per par condicio, anche gli uomini come Don Franco meritano sia loro dedicata una via, anzi ho in mente anche il nome : via dei Martiri della Fede!
mer 08 gennaio 2014 - 20.04
Luca Giaroli - infochiocciolalucagiarolipuntocom scrive :
Grazie Don, brava Santa, o pran fatto bene a farti studiare...
Ti voglio bene, tuo fratello.
mer 08 gennaio 2014 - 22.51

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