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Bolungarvík sta appoggiato sul bordo di una linea perfetta ed immaginaria alla fine del mondo. Un passo a nord e si cammina sulle acque, un passo a sud e si scalano le montagne. E' una specie di isola remota, dentro un'altra isola remota, al confine del circolo polare artico. Una piccola comunità di neanche mille anime, lontana da tutto e prossima al niente. Ma oggi, anche alla fine del mondo non sei al sicuro. E anche se c'è spazio, è solo questione di tempo. Il contagio s'è presentato il primo d'aprile. Ma non era uno scherzo. A quel punto Bolungarvík, in un attimo, è diventata una specie di Vo' dell'Islanda. Hanno testato a fondo, tracciato tutto e quarantenato l'impossibile: è finito in isolamento il 25% della popolazione. Una sfida dura e complicata per una piccola comunità sperduta, ma alla fine vinta. Domani, 4 maggio, riapriranno molti servizi e le scuole. Gylfi Ólafsson, uno dei responsabili sanitari, ha voluto condividere un paio di lezioni utili apprese da questa esperienza: testare rapidamente, tracciare, mettere in quarantena ed isolare il più possibile; ricostruire tutto del contagio, come se fosse una scena del crimine; dire all'opinione pubblica le cose come stanno e condividere tutti i dati e le informazioni. Niente di straordinario, niente trucchi segreti o pozioni miracolose. Ma è quello che noi non siamo riusciti a fare per bene fin qui. All'inizio con molte giustificazioni. Ed ora ? Al pàs più càtiv le col dl'uss. Non è islandese, ovviamente. Domani riprendiamo l'uscio di casa in una situazione difficile. Lo facciamo senza sapere davvero cosa ci aspetta, quanto e dove il contagio abbia colpito e sia esteso. Lo facciamo andando a tentoni, senza test sierologici a dirci quanto l'iceberg era ed è grande. Arriveranno i test tra un po', ma nel frattempo dobbiamo andare. Rispetto a due mesi fa abbiamo qualche vantaggio tattico sul nemico: sappiamo che non dobbiamo sottovalutarlo e che non dobbiamo aspettarlo sulla difensiva. Ma abbiamo ancora armi spuntate e strategie frantumate. La nostra capacità di fare test è cresciuta, ma è ancora limitata ed affidata all'intraprendenza dei più avveduti. Ancora oggi facciamo una fatica dannata a mettere insieme i dati, anche quelli più semplici. Il resto sembra quasi affidare la speranza al caldo del sole e ad una botta di culo. Due cose comunque utili e belle della vita. Abbiamo ancora bisogno di prendere tempo e fare altro spazio. Ma non sono risorse infinite il tempo e lo spazio. In questi due lunghi mesi abbiamo oscillato nelle nostre emozioni e nelle nostre opinioni, tra splendidi ed ingenui ottimismi e facili delusioni. Ci siamo ritrovati un po' tutti in un territorio inesplorato, quei posti dove sulle mappe gli antichi piazzavano "hic sunt leones": qua ci stanno i leoni. Siamo in una situazione complicata e mutevole, ma non è stata solo sfortuna. Non è andato tutto bene. Abbiamo commesso errori, alcuni con buone giustificazioni e altri con fragili scuse. Ammetterlo è il primo passo per uscirne, questa volta e le prossime, tutti insieme. Perché sì, è probabile che ci sia una prossima volta. Quella cosa che in inglese han chiamato "The Hammer and the Dance" ma che noi capiamo meglio se vediamo suonare una fisarmonica: apri e chiudi, apri e chiudi. E se ci sarà una prossima volta e oggi diciamo "rifarei tutto", beh vuol dire non aver imparato molto. Perché pagheremmo tutto l'oro del mondo per avercela qui, a portata di mano, la DeLorean di Emmett "Doc" Brown. Al pàs più càtiv le col dl'uss. Non è latino, ovviamente. Le traversate del deserto non sono mai una passeggiata in prossimità del domicilio. E chi le guida porta grandi fatiche e responsabilità. Lo sappiamo. Ma come disse quella volta, con ironia ed affetto, Golda Meir (prima ed unica donna alla guida dello Stato di Israele e tra le prime al mondo in quel ruolo) : "lasciatemi dire una cosa contro Mosè: ci ha portato per quarant'anni in giro per il deserto per condurci all'unico posto nel Medio Oriente che non ha petrolio". Ma qui ovviamente non ci sono né Mosè né Golda Meier, e anche noi non siamo in gran forma. E allora ci tocca, in questo eterno Giorno della Marmotta di tornare lì, a due mesi fa: "Avremo paura, soffriremo, potremo piangere un amico, vedremo crollare certezze economiche e sociali, ma se sapremo cavare dal male grande umanità, qualche ironia, nuove energie e aiuto per gli altri, avremo fatto il nostro dovere, solo il nostro dovere. Spetta a noi, a noi e a nessun altro." Non è finita insomma. Ma un giorno finirà. E quel giorno, credo, avremo una gran fame di felicità. Anche perché il resto, li bèle magnê tót. |
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